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Ci si attendeva qualcosa di nuovo dalla nuova marcia del popolo cubano del 15 novembre.
Non certo la caduta del regime criminale della famiglia Castro, retto in apparenza da Miguel Diaz Canel Bermudez. Ma di sicuro qualche altro passo avanti era legittimo aspettarselo; qualche passo in avanti nel processo di democratizzazione della Grande Isola dei Caraibi.
Ed invece è successo tutto quello che non si voleva. Le città militarizzate, le strade chiuse. La gente a casa, invece di stare in strada.
Sotto casa degli attivisti, decine di ultras della Revolucion, incitano, gridano, provocano, urlando gusanos. Odiano semplicemente. Perché non si accetta il diverso a Cuba. Da sessantadue anni esiste solo il pensiero unico. Non c’è stato il salto di qualità dopo quell’11 luglio, dove tanta gente è scesa in strada a protestare. I leaders della manifestazione sono stati bloccati a casa. Quando non vogliono vederti in giro, ti vietano di uscire da casa, bloccandoti l’uscita. Cose dell’altro mondo. Con gli organizzatori bloccati a casa, la manifestazione è fallita. A Cuba le manifestazioni si bloccano sul nascere. Così si evitano problemi. Il giorno dopo uno dei leader della manifestazione, fondatore dell’associazione Archipelago, Yunior Garcia, è scappato in Spagna. Come, non si sa. Non ci sono dettagli al momento.
La sfuriata di Eliecer Avila chiarisce la posizione sul popolo di Cuba. Che non è unito. Che non è cresciuto. Che non vuole avanzare nella democrazia. Sono sempre stato molto pessimista sul popolo cubano. Ho sempre pensato che non voglia liberarsi dalla dittatura. Perché in primis loro non pensano di vivere in una dittatura. Dopodiché non hanno voglia di fare guerre. Dal punto di vista politico non vogliono cambiare nulla. Molti cubani in questi sessantadue anni hanno creduto alle favole di Fidel Castro. Di generazione in generazione tutto si è tramandato. Pure il pensiero. La voglia inesistente di cambiare le cose.
In ogni caso è colpa degli americani. Questo alla fine pensa il cubano. La più grande riuscita forma di marketing della storia. Per giustificare il tracollo del sistema economico cubano dire che è colpa dell’embargo è una mossa che tiene a galla Cuba, nel mondo. Ciò comporta aiuti, donazioni.
Dopo il 15 novembre si sanno i nomi degli arrestati. Settantuno, tanti per una manifestazione fallita, stroncata sul nascere. Arresti e torture. Nel 2021 niente è cambiato a Cuba, fra l’indifferenza del mondo. Al prossimo arresto.
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