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da un estratto di Gennaro Carotenuto
È difficile essere stati un prelato importante in Argentina negli anni ’70 essendo estraneo ad una storia di lacerazioni, drammi, crimini, persecuzioni quale quella della chiesa argentina. Questa, al contrario di quella cilena e quella brasiliana, che poterono vantare più luci che ombre, fu sicuramente la peggiore, complice e spesso perfino mandante tra tutte le chiese cattoliche, delle dittature militari che devastarono l’America latina negli anni ’60 e ‘70. Appena un mese fa fu messa nero su bianco in una sentenza della magistratura la piena complicità della chiesa cattolica, incluso il primate dell’epoca, Cardinal Raúl Primatesta e del nunzio apostolico Pio Laghi, nell’assassinio del vescovo Enrique Angelelli e dei sacerdoti Carlos de Dios Murias e Gabriel Longueville. La sentenza confermava quanto si sapeva da mille testimonianze e documenti. All’interno del genocidio la chiesa cattolica argentina non fu solo complice ma i suoi vertici operarono una sorta di sterminio interno facendo eliminare preti e suore vicini all’opzione preferenziale per i poveri decisa nella Conferenza Eucaristica di Medellin del 1968 o semplicemente scomodi. Furono almeno 125 i sacerdoti impegnati a fianco degli ultimi a morire o essere fatti sparire. Molti di quelli che persero la vita furono indicati ai carnefici dalle stesse gerarchie cattoliche, Tortolo, Primatesta, Aramburu, che collaborarono attivamente sia ai crimini che al successivo occultamento.
Stiamo parlando di un crinale difficile tra la complicità e la morte ed è in quest’ambito che azioni ed omissioni vanno misurate. L’ordine di appartenenza di Papa Francesco I, quello gesuita, resta al margine della complicità con la dittatura dei 30.000 desaparecidos e della guerra intestina nella stessa chiesa. Tuttavia non sono poche le accuse che colpiscono l’oggi papa argentino per quei sei anni da provinciale gesuita dal 1973 al 1979. Quella più grave e circostanziata che viene mossa a Jorge Bergoglio, in particolare da Horacio Verbitsky, l’autore di “El Vuelo”, il primo libro che denunciava i voli della morte, sempre scrupoloso nelle sue denunce, e oggi presidente del CELS, la più importante istituzione in difesa dei diritti umani del paese, è quella di aver privato di protezione alcuni giovani parroci del suo ordine, troppo esposti nel lavoro sociale con i più poveri. Due furono sequestrati per cinque mesi. Uno di questi, Orlando Yorio, denunciò a Verbitsky di essere stato consegnato da Bergoglio allo stesso Massera e sono molte le testimonianze sull’amicizia con l’Ammiraglio piduista: «Bergoglio se ne lavò le mani. Non pensava che uscissi vivo». Per Emilio Bignone, una delle più cristalline figure di difensore dei diritti umani in Argentina, che conferma i dettagli della denuncia di Verbitsky, e autore di uno dei testi tuttora fondamentali su chiesa e dittatura, Bergoglio «è uno di quei pastori che hanno consegnato le loro pecorelle». Le accuse di Verbitsky sono confermate anche da Olga Wornat.
Dopo la dittatura, anche negli ultimi anni, Bergoglio fu chiamato a testimoniare in molteplici circostanze in inchieste e processi per violazioni di diritti umani. Non ha mai parlato. Chi scrive ha personalmente verificato in queste ore il suo silenzio con il PM che indagava sul sequestro di una giovane incinta. Se quelli indicati sono precedenti che ne fanno un complice pieno della dittatura sta al lettore deciderlo. A chi scrive il puntare il dito sembra troppo e l’assoluzione troppo poco. Bergoglio non fu né un Aramburu né un Von Wernich ma neanche un padre Mujíca, uno dei sacerdoti assassinati. Sta in una zona grigia, un quarantenne in ascesa, con un ruolo importante ma non ancora di spicco, in una chiesa argentina dove si mandava ad uccidere o si rischiava di essere uccisi.
Bergoglio era dal 1973 provinciale dei gesuiti. In un ordine tradizionalmente progressista, e condotto da Padre Arrupe, il papa nero che nei primi anni ‘80 si scontrava e veniva ridotto all’impotenza da Giovanni Paolo II, è Bergoglio ad essere emarginato dai suoi. Per Luís “Perico” Pérez Aguirre, prestigioso gesuita uruguayano, fondatore del SERPAJ e consigliere dell’ONU in materia di diritti umani, che chi scrive ha avuto occasione di conoscere prima della morte nel 2000, in una testimonianza raccolta da Olga Wornat: «Bergoglio [che si era già incontrato con Wojtyla promettendogli obbedienza assoluta] stravolse completamente il segno della Compagnia da progressista in conservatrice e retrograda. Ho rotto ogni rapporto con lui, soprattutto rispetto al suo agire durante la dittatura».
Solo al di fuori del suo ordine saprà tornare in pista. Formalmente ancora gesuita, dal 1979 in avanti si muoverà al di fuori. Della sua carriera Bergoglio deve molto al successore di Primatesta, Antonio Quarracino. Differente da Primatesta, e con un lontano passato progressista concluso già alla fine degli anni ’60, Quarracino era tutt’altro che un santo. L’ostentazione della ricchezza, basta pensare ad Aramburu, è un altro tratto delle gerarchie argentine dal quale il nuovo papa è completamente esente. Scegliere come ausiliare Bergoglio, quel vescovo semplice e irreprensibile, era per Quarracino una maniera di coprirsi il fianco da tante critiche.
Non si comprometteva Bergoglio con le feste che frequentava il Cardinal Quarracino nella casa di Olivos e dove s’intratteneva come un Apicella qualsiasi suonando la chitarra per Carlos Menem. Erano altri anni oscuri per l’Argentina, quelli del menemismo. Molte cose distanziavano i due prelati. Il primate aveva interessi mondani, l’ausiliare faceva il vescovo, centrando la propria missione nella formazione del clero e nell’attenzione al popolo delle villa miseria che circondano tutt’ora il gran Buenos Aires. Bergoglio seppe mantenere con Quarracino relazioni cordiali ma distanti. Forse era l’unica maniera di tener fede sia ai voti di castità e povertà che a quello di obbedienza.
Fu in questa relazione tra due prelati così diversi che Bergoglio si costruì un ruolo di punto di riferimento per una nuova generazione di sacerdoti argentini anche quando, primo gesuita della storia, succederà a questo nel 1998. Sulle sue spalle cadrà di nuovo il peso di riscattare una chiesa cattolica dal passato tenebroso. Emergeranno però anche le caratteristiche che oggi lo portano al soglio pontificio: la mano di ferro con la quale ha condotto la chiesa argentina (e che ne fa uno spauracchio ora per la curia romana), la marcata preoccupazione sociale, la critica alla politica. Soprattutto Bergoglio –ed è un punto di forza rilevante- risulta straordinariamente interessato alla vita del suo clero. Si preoccupa per le necessità materiali, è presente, è vicino e accessibile. Perfino Clelia Luro (testimonianza a chi scrive), la terribile compagna del vescovo Jerónimo Podestá, salva solo Bergoglio di tutto il clero argentino che aveva isolato il prelato che aveva deciso di combattere la battaglia per la fine del celibato. Bergoglio, nonostante non lo condividesse, gli rimase vicino umanamente fino alla fine.
Il passato ritorna però e il profilo di Bergoglio resta basso. Tenta di difendere se stesso e la chiesa argentina. In particolare per quest’ultima c’è poco da difendere. Primatesta e Aramburu avevano eretto un muro di inaccessibilità ai familiari delle vittime che neanche in chiesa –al contrario di quanto era successo con la Vicaría della Solidaridad a Santiago del Cile- avevano trovato sicurezza. Quando nel 2007 fu chiamato a prendere provvedimenti nei confronti di Christian Von Wernich, il sacerdote condannato all’ergastolo per avere sequestrato personalmente 42 persone, assassinate 7 e torturate 32, semplicemente non ne prese. Von Wernich sta scontando l’ergastolo ma è a tutti gli effetti un sacerdote e nessun provvedimento disciplinare è stato preso nei confronti del carnefice che le vittime descrivono come un vero demonio.
Ma chi è davvero Jorge Bergoglio, Papa Francesco I che comincia il suo cammino di Vescovo di Roma con un passato così pesante? Integralista di destra mette i poveri al centro del suo apostolato. Vicino alla dittatura militare rende omaggio ai sacerdoti assassinati da questi ultimi. Ha fatto una carriera tutta controcorrente, conservatore in un ordine considerato progressista, primo gesuita primate argentino, primo gesuita papa, primo papa latinoamericano. Nemico dei progressisti e di tutti i politici (li detesta e non lo manda a dire, quasi grillino in questo) e lontano dagli organismi per i diritti umani pretende educazione cattolica ed è contrario ai contraccettivi ma nessuno può accusarlo di non onorare i propri voti, in particolare quello di povertà.
A Buenos Aires, dicono gli amici ma senza che alcun detrattore lo contesti, sparisce ogni volta che può per infilarsi in orfanotrofi, carceri, ospedali a compiere il suo apostolato. Chissà se potrà farlo anche a Roma.
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