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Cayo Santamaria - Cuba

Cuba – estate 2019

Arrivo a La Habana. (Aeroporto José Martí)

Finalmente Cuba. Si ritorna in America latina. Ma stavolta ai Caraibi. Forse non è il migliore periodo perché il clima è molto caldo con un’alta percentuale di umidità, ma si può resistere, basta avere alcuni accorgimenti. Questa stagione è anche la stagione delle piogge. Nel senso che ogni pomeriggio verso le 17, o le 18, piove, tanto. Sembra uno scherzo della natura. Una burrasca. Il clima si rinfresca poco. Con il passare dei giorni non ci fai più caso, e a volte neanche piove.

All’arrivo a La Habana, mi è sembrato tutto un déjà-vu. L’aeroporto con cemento dipinto parzialmente di rosso e giallo, mi dava l’impressione di qualcosa di già visto. Pensavo a Cartagena de las Indias, nel nord della Colombia e non sono neanche sicuro fossero uguali i colori dell’aeroporto. E poi certamente il clima pesante, quel caldo-umido che ti fa sentire ai Caraibi, infine la stessa situazione all’uscita dell’aeroporto di tutti i viaggi passati, con i tassisti che ti assaltano, “offrendoti” il passaggio e parlando tutti insieme, mentre tu cerchi un attimo di relax fumando la prima sigaretta dopo tante ore di volo e poi può succedere anche che li mandi a quel paese, tutti nello stesso tempo e con il sorriso. Scene già viste in tutto il sud America ma anche nel sud est-asiatico. Ma le urla le risenti pure dentro l’aeroporto, alla ricerca dei bagagli, che non arrivano. Tanta gente alle nove di sera o forse le undici. Dopo immigrazione, controllo dei bagagli, poi via, libero di conoscere Cuba e i cubani.
A La Habana conosco persone vere, bevo ruhm mai bevuto prima, conosco un po’ la città e le sue dinamiche, non sempre in linea con il pensiero socialista. Mi sento come se fossi a casa mia, in Sicilia. Visito vari mercati e ristoranti. Dopo circa cinque giorni, ho bisogno di spostarmi. Avevo previsto di spostarmi in qualche zona di mare, mi consigliano Playa Guanabo, il mare dei cubani. Così tramite il proprietario dell’alloggio dove stavo, trovo un passaggio per Guanabo, poi lì troverò qualche alloggio certamente. Viene a prendermi un ragazzo sulla quarantina, con la Lada, famosa auto russa, una copia della Fiat 124 e di gran lunga le più usate a Cuba, anche dallo Stato. Durante il viaggio, il paesaggio è da cartolina. Immensa natura, tutto pieno di vegetazione e caldo incredibile. Sulla strada vedo tanti cubani chiedere passaggi, gli autobus non sono tanti.
A Playa de Guanabo passo le giornate al mare, il sole è caldo, l’acqua splendida. Anche lì la polizia, sempre, a controllare, fra i bagnanti. Anche lì le code per comprare qualsiasi cosa. I cubani si fanno il bagno con la maglietta, per ripararsi dal sole. La crema solare costa tanto 27 Cuc, tantissimo per i cubani. Prendo in affitto una bella casetta e subito la proprietaria mi illustra quali sono le regole dell’alloggio che coincidono con le leggi dello Stato. Non posso far entrare nessuno a casa, senza registrazione. Quindi eventuali ragazze devono essere registrate, ma se vengono registrate più volte rischiano il carcere. Un po’ di anni fa, il turista e le ragazze cubane non potevano avere nessun contatto, le ragazze venivano arrestate subito. Cuba intende così reprimere la prostituzione dilagante sull’isola.

La Repubblica socialista di Cuba è l’ultimo paradiso della lib

ertà, che lotta contro l’imperialismo americano. La seconda parte della frase è più vera della prima. Anzi la prima parte è del tutto inesistente. È un falso storico. Ne ho conosciuti tanti di pseudo comunisti innamorati di Cuba, che parlano solo di musica, donne, educazione e sanità libera. Questi però vivono in Italia, dove gli vengono garantiti i diritti civili e dove lo Stato non entra mai in un modo così perentorio dentro la vita dei cittadini e soprattutto dentro la loro vita. Alcuni comunisti, molto più audaci degli altri, parlano del comunismo come di una forma di democrazia, che aiuta i più deboli, che garantisce un buon livello di giustizia sociale e sperano che anche in Italia si passi a questa forma di Stato. Ma non riescono ad ammettere per ignoranza o per vergogna, che questa forma di regime socialist

a, finisce sempre per sfociare in una dittatura che non ammette pluralismo, che reprime il dissenso, e dove la giustizia sociale significa lasciare il popolo in miseria mentre chi sta al potere si arricchisce sulle sue spalle. Anche la educazione e la sanità pubblica sono state parecchio enfatizzate solo per il fatto di essere gratis ma restano dei servizi molto discutibili soprattutto quello dell’educazione che fin dalla scuola primaria sembra più indottrinamento che altro. Come tutte le dittature, esse hanno bisogno del consenso. Il populismo è un aspetto fondamentale delle dittature, che serve a rigenerarle e ad alimentarle. Esso si attua attraverso una propaganda mirata e massiccia, attraverso i media, attraverso le organizzazioni internazionali. Essendo proibito pensarla in maniera diversa, le radio, le televisioni (5 canali soltanto a Cuba, ma qualcuno illegalmente riesce a vedere canali satellitari) sono soltanto statali e non prevedono pluralismo dell’informazione. Chi lavora nelle aziende statali non può non seguire l’ideologia socialista. Al primo maggio bisogna essere presenti se lavori per lo Stato.
È tutta una mentira come dicono da quelle parti. Per esempio in televisione, su quei pochi canali che puoi trovare, ce n’è qualcuno interamente dedicato alla propaganda del regime. Ti fanno vedere le parate militari come in Cina o Corea, poi una scuola con i bambini che cantano le canzoni su Che Guevara, o interviste a persone che parlano bene del sistema sanitario. Non mancano di raccontare la storia della rivoluzione di Cuba, o l’impresa di Playa Giron, la famosa baia dei porci, dove si arenò la volontà degli americani di riconquistare l’isola caraibica. Ma succede pure sulle strade cubane, che ho percorso e devo dire molto buone, dove gli unici cartelli pubblicitari sono immagini della rivoluzione con i soliti slogan sulla patria e sull’unità.
L’oligarchia cubana, cioè i vecchietti del Partito comunista cubano, quelli che hanno partecipato alla Revolución, o per lo meno molti di loro, mentre altri sono già morti, hanno finalmente preso il potere. Proprio quelli che i comunisti benpensanti, gli intellettuali di casa nostra, vorrebbero combattere. Per oltre sessant’anni, il PCC è dovuto stare dietro a Fidel Castro che non era solito condividere il potere. Adesso, invece, alla tenera età di quasi 90 anni, gestiscono il paese e hanno deciso l’elezione del Presidente della Repubblica socialista di Cuba, il professore universitario Miguel Diaz-Canel di Santa Clara. Ma proprio come l’hanno messo lì, al comando, possono toglierlo in qualunque momento. “Diaz-Canel è il capo finché non fa troppi danni” così mi hanno detto scherzosamente a La Habana. Dopo quasi cinquant’anni di dominio assoluto da parte di Fidel Castro, dopo una decina di dominio di Raul Castro, adesso chi comanda è il solo Partito comunista cubano, è lui il vero tiranno. Ramiro Valdes (87), José Ramon Machado Ventura (89), Raul Castro (88), Guillermo García Frías (92), sono soltanto alcuni dei vecchietti del partito comunista cubano che decide le sorti dei vari presidenti che si succedono e di conseguenza decide le sorti della Isla Grande. Adesso è stata pure istituita una figura istituzionale che Fidel Castro aveva abolito. La presidenza del Consiglio.
In tutte le dittature comuniste, dalla Cina all’URSS, alla Germania Est per finire con Cuba, non esiste la separazione dei poteri istituzionali, principio giuridico fondamentale di ogni Stato di diritto e di ogni democrazia liberale, trattato nello “Spirito delle leggi” del filosofo francese Montesquieu. C’è uno solo al comando, oppure c’è il Partito comunista che decide tutto. Pluralismo, basterebbe solo questa parola a fare la differenza fra uno Stato di diritto e una ennesima maledetta dittatura che ti vieta tutto e ti reprime e opprime. Questo non fa che avvicinare queste dittature a quelle fasciste, anche per via dei diritti sociali, che in genere sono una caratteristica comune fra i due tipi di regime.

Dopo la Playa Guanabo, trovo un passaggio per Cienfuegos, su una Peugeot 405, una gran macchina per questi luoghi. Ritorniamo a La Habana, a prendere altri passeggeri. Siamo belli carichi. Via verso Cienfuegos. Nel viaggio, ci fermiamo nel nulla, dove c’è una casa che è un piccolo chiosco e si può mangiare qualcosa. Con 10 Cup un panino decisamente rivedibile e 5 Cup un succo di ananas. Si riparte e sulla strada, le solite persone che chiedono passaggi, e i soliti cartelli di propaganda comunista con le solite scritte “Hasta La victoria”, “Patria o muerte”, “Venceremos”, che sono solo slogan di un passato che non si vuole abbandonare, da parte del regime. La gente sta male e loro (i vecchietti del regime) vanno avanti ancora con slogan di tanti anni fa, dei quali la gente incomincia a fregarsene, soprattutto perché le persone che hanno vissuto quel periodo della revolucion e post –revolucion, sono sempre di meno. Ma agli stranieri invece queste cose fanno presa, sono una bella forma di marketing. Intanto aumentano le critiche al regime. La gente vuole mangiare e non avere restrizioni di nessun tipo. Alle nuove generazioni invece, non gliene frega nulla di essere contro gli USA. Anzi loro vedono come un modello gli USA e vorrebbero tutti andare via.
Cienf

uegos da sempre, una delle città più socialiste di Cuba. Lì la propaganda ha stravinto, però ho fatto delle belle chiacchierate con proprietari di casa e gente che ho incontrato nel mio cammino. Per qualcuno ad esempio Internet costa tanto per colpa di Trump, non sapendo che Cuba è collegata in fibra ottica al Venezuela e che il fatto di avere l’unica impresa per le telecomunicazioni, la Etecsa, non può che minare le legittime aspirazioni di diminuzione dei prezzi. Poi riguardo all’assemblea nazionale che svolge un ruolo democratico, così mi hanno detto, nonostante ci siano percentuali di votazioni che oscillano dal 99% al 99, 9% e che il requisito principale per farne parte è appartenere al partito comunista cubano e quindi essere un buon socialista. Studi sul pluralismo e sulla concorrenza economica, sono concetti fin troppo proiettati nel futuro per Cuba.

Nella mia prima notte a Cienfuegos, alle 5 di mattina sono stato svegliato dal grido sofferente di un maiale, quello del vicino di casa, che sapeva di dover essere ucciso, sgozzato. Il maiale puoi ucciderlo, la mucca no.

A Cuba, è indubbio che non si muore di fame. O almeno dovrebbe essere così, poi si muore per qualsiasi altra cosa, anche indirettamente per la fame. Gli alimenti sono scarsi. Molte persone hanno problemi cardio-vascolari o sono anemiche. È molto facile vedere persone mendicare per strada, o che dormono per terra. Ho visto donne invecchiare molto presto a Cuba, nonostante fossero ancora giovani. La cattiva alimentazione è una causa. La giustizia sociale non vuol dire ridurre un popolo in miseria. Sullo Stato che aiuta i più deboli si è fatta troppa propaganda dalle nostre parti, ma gli homeless a Cuba esistono e sono pure tanti. Riguardo alla disoccupazione invece, quella si avverte, subito e spesso. Molti si arrangiano a fare quello che possono. Un po’ come i meridionali d’Italia. Per certi versi mi sono sentito a casa. Molti vivono in strada e non fanno nulla, eccetto qualche partita a domino. Gli stipendi sono molto bassi, in media 15/20€ al mese, quindi sono costretti a rubare allo Stato, oppure chiedono soldi per strada, fanno qualche lavoretto in nero o hanno aiuti dagli esuli cubani nel mondo, specialmente quelli di Miami. Rimesse che vengono pure tassate dal regime cubano che dove può e quando può cerca di rubare al proprio popolo nel vero senso del termine e riesce a complicargli la vita. In generale ci si arrangia e c’è tanta povertà. Quella che noi chiameremmo pensione sociale, corrisponde a circa 5, 6 euro al mese.

Altra destinazione, altra corsa. Si va a Trinidad, nel sud dell’isola, città coloniale e caldissima. Mi accompagna un tassista con un’auto a 9 posti. Solite auto degli anni 50. In auto anche francesi, australiani. Da Cienfuegos a Trinidad e da Trinidad a Santa Clara sono delle tratte molto suggestive, si attraversa una zona molto verde dell’isola, passando per piccoli paesi di contadini.

Nelle aziende di Stato da qualche tempo, ci sono i guardiani che controllano che gli operai non si rubino qualcosa. E l’embargo non c’entra nulla, visto che Cuba commercia con più di 170 paesi nel mondo e con i prodotti più vari. Ma lo Stato vuole decidere lui il prezzo delle cose per poi avere l’alibi pronto, per giustificare le sue malefatte. Un’ottima soluzione che ti fa stare in pace con i tuoi sudditi e magari riesci pure ad avere donazioni o aprirti qualche mercato che prima era impossibile. Le liberalizzazioni avvenute nel periodo “especial” (quando l’URSS crollò caddero i sostentamenti a Cuba) e poi intensificate con le riforme del 2008 di Raul hanno fatto sì che il turismo diventasse la fonte principale del paese, e come conseguenza il turista viene molto rispettato e aiutato, da tutti. Il turismo fa ricavare al regime cubano circa 3 miliardi di dollari l’anno. Ma anche qui forme di discriminazione fra turisti e cubani. Ai cubani non è permesso andare in hotel o negli altri tipi di strutture ricettive. Non è permesso andare al mare ai Cayos, le splendide isolette paradisiache, se non per lavoro. Da qualche anno anche ai cubani è permesso andare nelle “casas particulares”. (case private).

auto Trinidad

hotel santaclara libre

Santa Clara, che chiamano anche Villa Clara, è il capoluogo dell’omonima provincia. È la città che determinò la vittoria dei barbudos della rivoluzione grazie all’offensiva di Ernesto “Che” Guevara. Prendo alloggio in una casa che dà sulla piazza principale, il Parque Vidal. Proprio lì affianco si trova l’Hotel Santa Clara Libre, dove ancora oggi ci sono i buchi degli spari dei rivoluzionari, contro la facciata dell’Hotel, dove si nascondevano Batista e i suoi uomini. Nell’hotel è presente anche il Cinema “Camilo Cienfuegos”. Dalla piazza, venti minuti a piedi si raggiunge il mausoleo dedicato ad Ernesto “Che” Guevara, che dal 1997 ne custodisce anche le spoglie e quelle dei suoi compagni, nella sfortunata spedizione in Bolivia nel 1967.
Poco distante dalla piazza principale un altro luogo storico, è quello del “treno deragliato” da Ernesto “Che” Guevara e compagni. Da Santa Clara mi sono spostato in giornata al Cayo Santamaria per trascorrere una intera giornata al mare. Mi ha accompagnato un professore universitario in pensione che prende 25€ di pensione. Adesso fa il tassista. Abbiamo parlato di politica, ha accettato quasi tutte le mie obiezioni sul sistema politico cubano, (come non accettarle?) e ho letto nei suoi occhi a tratti, rassegnazione, ma anche speranza in un futuro lontano da Cuba.
Come già detto, Cuba commercia con tutto il mondo, almeno 170 paesi, per i più svariati prodotti. L’embargo è un concetto rimasto nella testa di quelli che ancora si sentono in guerra, che difendono il regime fino alla morte. Pur formalmente esistendo una legge d’embargo commerciale, Cuba riesce a commerciare da tempo con tutto il mondo e persino con gli Stati Uniti.
Vende il proprio pesce all’estero, aragoste, soprattutto Giappone ma anche Canada e vieta compravendita interna di pesce e vieta di pescare. O lavori per lo Stato o sei illegale. Quelli che lo fanno al Malecon, il lungomare della Habana, sono illegali.
Il turista può mangiare le aragoste a Varadero, al cubano sono vietate.
Se il pollo nei ristoranti finisce già alle nove di sera, cosa c’entra Trump? Peraltro Cuba importa pollo dagli USA.
La carne che puoi comprare liberamente è la carne di maiale e quella di pollo. Ma anche questo tipo di carne sta diventando complicato oggi. La carne di manzo è un lusso per il cubano. È cara. Non la trovi in tutti i mercati.
Il regime di castro ha distrutto il bestiame cubano.
Nel 1959: 6,5 milioni di abitanti, 6,3 milioni di bovini (940 mil erano vacche da latte). Prezzo di 1 kg di carne bovina: 52 centesimi.
Oggi 11 milioni di abitanti, 4 milioni di bovini. Prezzo 1 kg: 10 $ USD. Un chilogrammo di carne bovina costa quasi quanto un mese di lavoro a Cuba.
Si produce poca carne bovina a Cuba e quasi tutta è per i turisti, il cubano può risolvere affidandosi ad amici per trovare carne e pesce al mercato nero. Le vacche sono molto magre, anche perché i terreni non sono più gli stessi di una volta. Ma anche quando un cubano abbia una vacca non può ucciderla per mangiarla. Andrebbe in carcere per 15 anni.

Perché il commercio della carne bovina deve essere solo statale?

Diaz Canel, il Presidente, ha detto: “Che sia lo Stato a vendere il cibo a Cuba, cosicché si possano controllare i prezzi. Così si evitano intermediari e speculazione”.

Si evitano anche i prezzi bassi aggiungerei. Senza concorrenza, senza offerta, la domanda schizzerà in alto, i prezzi non sono controllati, sono alti e lo saranno sempre. Ma le numerose domande che ognuno si può fare su Cuba poi finiscono sempre con un “a Cuba funziona così”. Tutto centralizzato.
Questo genera l’altro lato della medaglia, il mercato nero per tutto, a Cuba, che chiaramente non aiuta il mercato ufficiale.
Il tassista che mi ha accompagnato in città dall’aeroporto, mi aveva avvertito con aria orgogliosa, che a Cuba non esisteva la droga, né la mafia. Mai cosa più falsa poteva dire. La droga certamente molto difficile, ma si trova. La mafia è lo Stato, con i suoi amichetti e poi il traffico di qualunque cosa che esiste nel mercato parallelo a quello ufficiale. Ci sono pure gli evasori fiscali ma lo sono per piccole somme, perché lo Stato se vede che la tua vita è troppo dispendiosa può entrare liberamente nei tuoi conti correnti e rubarti il denaro. A salvaguardia del socialismo immagino. Ma si saranno già accorti che le classi sociali ormai esistono pure a Cuba?  Ci sono i cubani ricchi e quelli che si arricchiscono ai danni dello Stato. Quelli che guadagnano in Cuc e quelli poverissimi. Qualsiasi azione compia lo Stato per guadagnare, esisterà una risposta da parte del cittadino contro lo Stato, soprattutto per necessità. Il cittadino ruba allo Stato che in molti casi lo sa e permette di farlo.
Esempio più eclatante è quello dei famosi sigari Habanos, società nazionalizzata all’indomani della revolución de los barbudos, ma dove il 50% fa parte della società statale Cubatabaco e l’altra metà della Altadis, società franco-spagnola, acquisita in seguito dalla Imperial Tobacco, oggi Imperial Brands, società inglese, alla faccia dell’embargo e dell’ideologia socialista. I prezzi dei sigari, sono prezzi per turisti, cioè prezzi alti. Ma se conosci i lavoratori della fabbrica, puoi comprare una scatola di 50 sigari per 50 euro circa (50 cuc). E non la compri in fabbrica ovviamente, ma nell’umile casa del lavoratore che ha uno stipendio da miseria, ma in questa maniera può arrotondare il suo salario mensile. Per la strada, è facile invece, incontrare chi ti vuole vendere tabacco avvolto nelle foglie di platano. Occhi sempre aperti.
A Cuba esiste la libreta, una tessera che ti permette di avere a prezzi vantaggiosi dallo Stato, riso, pane, latte per i bambini, qualche medicina per gli anziani che ne fanno richiesta, olio d’oliva. In generale la situazione è davvero critica. Con le riforme di Raul Castro del 2008, il paniere dei beni della libreta è stato notevolmente ridotto. La libreta costa al sistema cubano 600 milioni di euro l’anno. La liberalizzazione a poter acquistare beni tecnologici come telefonini, cd/dvd stereo, ha decisamente evidenziato come il cubano voglia un altro tipo di vita che però il governo in questo momento storico non gli può offrire.
Ma anche se il cubano si arrangia con quel che può, non si arrende in teoria, perché nella pratica si è arreso al potere del Partito comunista cubano. Non scende in piazza perché ha paura. Quando ho chiesto a molti perché non scendessero in piazza a protestare contro il caro vita o altre problematiche, mi hanno risposto “perché verrebbero a prenderci per portarci in carcere subito”. Quindi preferisce arrangiarsi, procurarsi ciò che gli serve con altri mezzi, magari proprio andando contro allo Stato.
La dittatura in genere dovrebbe quasi azzerare la delinquenza e la disoccupazione. Ma non si è riusciti in modo pieno, né nell’uno né nell’altro caso.
Le carceri sono piene, in tutta l’isola, e di carceri ne esistono molti e molti sono pure i delinquenti per tutta l’Isola, anche se bisogna dirlo, a Cuba cammini tranquillo tutto il giorno e tutta la notte. Nessuno ti disturba se non per chiederti soldi ma puoi dire no e andare via.
La percezione del pericolo, camminando di notte al buio, per la città, non si avverte minimamente. C’è un senso di pace ovunque tu vada.
Fra i carcerati, ci sono quelli arrestati per reati d’opinione poi liberati dopo l’arrivo del Papa (Giovanni Paolo II nel 1998). Ma nuovamente nel 2003 la famosa primavera negra, fu una nuova retata che portò in carcere poco più di 70 dissidenti. Fra loro giornalisti indipendenti, sindacalisti o semplici attivisti, che furono liberati negli anni successivi, nel periodo di Raul, dal 2008 in poi, ma qualche prigioniero di coscienza resta sempre nelle affollate carceri cubane. Qualche giornalista indipendente viene sempre arrestato. Vengono controllati e minacciati. Qualcuno dopo uno sciopero della fame è deceduto, penso ad Orlando Zapata, morto nel 2010.
Nel mio mese cubano, forse per le vacanze, ma molti stavano in strada tutto il giorno, per lo meno nel quartiere di Centro Havana, a fare nulla. In ogni caso la situazione poco florida della popolazione, stona con la vita che fanno gli oligarchi cubani, che vivono in ville poco fuori La Habana, mandano i loro figli a studiare negli USA, a casa del nemico, e poi prontissimi a postare foto su instagram.
Ma a parte conoscere persone, e stressarli facendo domande di ogni tipo, sulla vita che conducono i cubani, ho fatto anche altro, per esempio sono andato a mare. Il caldo era torrido, sempre, ogni giorno e il mare di Cuba, specialmente nella parte nord dell’isola, è stupendo (Del sud salvo solo Cayo Largo anche se non ci sono andato). Posti come Cayo Coco o Cayo Santamaria sono veri e propri paradisi, anche se appena ti giri vedi cumuli di spazzatura (pure lì, assurdo). Il cayo è un’isoletta, e ce ne sono svariate al nord di Cuba. Ai cubani come già detto non è permesso

bagnarsi nelle acque chiarissime dei cayos, possono solo lavorarci in quelle zone. Gli aspetti positivi della dittatura, si traducono nella costruzione immediata di grandi opere pubbliche senza perdere tempo a dibattere come in democrazia. Ed è così che viene costruita una strada di migliaia di chilometri per sfruttare al massimo queste isolette per il turismo. Sono strade costruite verso la fine degli anni novanta, chilometri e chilometri di asfalto hanno permesso di congiungere queste isolette fantastiche alla terraferma. Ed ovviamente sono stati costruiti tanti hotel per i turisti. Ai cubani è vietato pure avere imbarcazioni eccetto se non sono collegate con il fare turismo. Pensavo che solo Singapore fosse il solo paese dei no ed invece lo è anche Cuba, ma più che altro lo sono tutte le dittature del mondo.
Lo sviluppo senza freni della rete internet nel mondo non ha avuto lo stesso livello di crescita a Cuba. Come in tutte le dittature, lo Stato non vuole lasciare a tutti il possesso dell’informazione ma vuole gestirla lui. Volendo essere ottimisti per quanto riguarda l’accesso al web, sono stati fatti piccoli passi in avanti. Intanto bisogna dire che Cuba è collegata in fibra ottica al Venezuela, quindi tutte le storie su Trump non vuole che i cubani si connettano a internet sono chiaramente false. Prima era del tutto impossibile navigare per i cubani, mentre per i turisti lo si poteva fare nei centri internet appositi, negli ultimi anni una politica di accesso al web ha garantito per tutti al costo di 1 Cuc, 1 ora di navigazione, grazie ad hotspot collegati con le card della Etecsa (il nome della compagnia statale che gestisce il servizio). Infatti dal 2015 ci si può connettere a internet dalle principali piazze e parchi di tutta l’isola ma i costi restano molto alti. Proprio quando ero da poco arrivato sull’isola, lo Stato aveva liberalizzato la rete anche per i privati. Quindi da casa, avendo un router e acquistando un pacchetto oppure utilizzando le solite cards della Etecsa, si può vedere cosa succede nel mondo.  I cubani hanno voglia di internet, anche per comunicare con i parenti all’estero. Le file agli sportelli Etecsa sono all’ordine del giorno. Ma la gestione di internet resta sempre in mano allo Stato e all’unica impresa statale, cosicché i costi restano molto proibitivi. Il pacchetto per navigare da casa costa 300 cuc. La gente è allegra, la vita va avanti a ritmo di musica e rum (ron). Ma si nota una voglia di cambiamento. I giovani vogliono andarsene. In un parco ho conosciuto un gruppo di ragazzi. Ho chiesto loro se avevano qualche sim card della Cubacel. Per un mese con 2GB di traffico Internet, volevano 25 cuc. Troppo caro. Ma c’è chi fa business anche condividendo illegalmente la propria connessione e la vendono nelle stesse piazze per 2 Cuc. Non è il massimo, ma non hai limite di 1 ora. Normalmente le carte della Etecsa che costano 1 Cuc le trovi per 2 Cuc anche di notte.
Parlando con un ragazzo che vendeva queste carte per connettersi, mi diceva che stava facendo di tutto per andarsene. In Russia. Aveva un invito da parte di una ragazza. Adesso c’è una minima apertura per lasciare il paese ma ci vuole tanta pazienza, la burocrazia per la pratica è stressante, passano mesi e mesi e poi possono sempre inventarsi qualcosa per non farti partire. Nulla è certo a Cuba. Il passaporto costa 100 euro. Carissimo per le tasche dei cubani.
Si cerca di far cambiare idea ai tantissimi che vogliono lasciare l’isola. A Cuba i giovani non sono molto interessati alla politica. Vogliono andarsene senza lottare. Ne ho conosciuto altri che avevano già biglietto per la Guyana, dove non è previsto invito per andare. Per loro Cuba è una prigione a cielo aperto. Così mi ha detto una ragazza a Camaguey. Ho notato una triste rassegnazione nei suoi occhi.
Ma qualcosa che ha dato respiro a tanti cubani è stata certamente la liberalizzazione della ristorazione, che finalmente non è più soltanto statale. E così adesso ci sono i restaurantes particulares, ovvero ristoranti privati, che possono essere dei veri e propri home restaurant, cioè dei ristoranti a casa dei cubani. Questo tipo di liberalizzazione ha dato modo a molti cubani di lavorare e far girare l’economia. Era ora. Prima essendo solo statali, avevano guadagni irrisori e la qualità è scadente. Adesso invece con ricavi in Cuc, si può parlare di ristoranti accettabili.
Il viaggio che avevo in mente di fare, come sempre va oltre la classica vacanza relax. Ho voluto rendermi conto della vita cubana, fare una sorta di indagine senza grandi pretese, sul fenomeno Cuba. Saggiare di persona le tante verità e falsità cubane, parlare con la gente, con il pueblo unido jamas será vencido, fare quelle domande impossibili, che nessuno ha voluto mai fare e alle quali nessun intellettuale ha voluto mai rispondere, respirare l’aria cubana che per tanti anni avevo annusato nei discorsi degli altri, ascoltando Compay Segundo e i Buena Vista Social Club.
Dopo un mese a girare l’isola, da La Habana verso est, ho raccolto numerose testimonianze critiche nei confronti del Governo ma non sono mancati le lodi ad un sistema che ha salvato un popolo dalla fame per cinquant’anni ma quando poi chiedevo qualcosa di specifico passavano subito a criticare l’operato di quello o quell’altro rivoluzionario o membro del partito. Volevo accertarmi se davvero Cuba era quello che dicevano. E te ne accorgi subito, che la Cuba raccontata dagli altri è frutto solo della loro fantasia, perché è bello credere nell’isola che non c’è, ma poi ti scontri con la realtà, e la verità fa male.
Dopo Santa Clara, ho preso il treno per Camaguey. Ne ho scritto qui.
Da Camaguey sono stato una giornata a Playa La Boca.
Dopo Camaguey le ultime città sono state Holguin, dove si raggiunge Guardalavaca e Santiago de Cuba. Dopo cinque giorni circa, ho cercato un collectivo per ritornare verso La Habana, pernottando a Ciego de Avila e poi a Moron per avvicinarmi a Cayo Coco.
A Cuba la proprietà appartiene al proprietario, però può succedere anche di perdere facilmente la proprietà. Faccio un esempio semplice. Se ospiti a casa tua un ricercato, la tua casa viene requisita, non ti daranno un indennizzo e perderai la casa.
Normalmente secondo le regole comuniste, i cittadini non sono proprietari delle case dove abitano. Prima le avevano in una specie di concessione, ma illegalmente le trattavano come se fossero proprie. Adesso lo sono. Non lo erano fino al 2011. Ed era così anche con Fidel ma a poco a poco il popolo si convinse che era diventato proprietario, specialmente con l’apertura al turismo e alle case particular (case private). Adesso esistono due tipi di esercizio di affitto, per i turisti e per i cubani.

 

È bello ascoltare la musica cubana, ma bisogna pure vedere dietro il ritmo allegro della Habana vieja cosa c’è. “Non tutto è oro, ciò che luccica”. Senza avere manie di persecuzione alla “Beautiful mind”, ho sempre avuto la sensazione di essere controllato, ho persino visto quelli che stanno agli angoli, i famosi delatori delle dittature. In Argentina ci hanno fatto un film, sulle paranoie di un cittadino, convinto che all’angolo della strada, c’era qualcuno che stava lì solo per osservare e quindi poi spifferare tutto alla polizia. Ecco perché mi invitavano tutti a parlare a bassa voce, per paura de “los informantes” coloro che fanno la spia per il Governo.

Basta poco per sentirsi osservato. Te ne accorgi all’entrata del paese, dove ti chiedono se sei un blogger o giornalista. Te lo chiedono già le strutture ricettive, quando ancora non sei arrivato a Cuba ma prenoti dal tuo paese l’alloggio. Te ne accorgi quando ti obbligano a stipulare l’assicurazione sanitaria soltanto presso le compagnie che dicono loro. Infatti le assicurazioni americane non vanno bene, come non va bene la carta di debito/credito Mastercard ma è ammessa la Visa. In realtà la Mastercard va pure bene, ma non in tutti gli sportelli bancari.
Un’isola che in passato è stata minacciata dagli Stati Uniti d’America e che si sente minacciata all’inverosimile e che poi ha subito un embargo commerciale per molti anni, deve tutelarsi. Secondo loro, ovviamente. I vecchi dirigenti del Pcc vivono nella paranoia e la fanno vivere pure al proprio popolo, che colpe non ne ha.
Molti giornalisti indipendenti sono incarcerati, solo esclusivamente per aver espresso il dissenso. Poi ti viene proibito di parlare di politica o di nominare il nome di Fidel Castro come se fosse un Dio o di qualche altro politico importante. Il dissenso non è consentito, anche se la nuova costituzione lo ha accettato. Piccoli passi in avanti della Revolucion. Quando parlavo con la gente, tutti mi invitavano a farlo a bassa voce, non volevano problemi. Perché siccome Cuba ha resistito al potere degli USA, non vuol dire che al proprio interno vengono rispettati diritti e si fa la bella vita. Un bloqueo interno è quello che è in atto a Cuba da anni ma lo urlano solo i dissidenti, che vengono sbeffeggiati ogni giorno, anche su internet, li chiamano gusanos (vermi). Ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza, il cittadino è sempre controllato. È una dittatura, e questo fatto non è giustificabile in nessun modo, ancora nel 2020.
Un mese da ovest a est è stata un’esperienza unica, anche se mi mancano ancora alcuni luoghi. Spero di ritornare presto. Questa estate non sarebbe male. Viva Cuba.

 

 

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