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Fine luglio 2019, Santa Clara, o Villa Clara come la chiamano da queste parti, la città che determinò la vittoria finale dei rivoluzionari. Proprio da Santa Clara mi allontano sempre più verso Oriente, questa volta cambio modalità di trasporto, parto in treno con destinazione Camaguey. Si parte la sera e vado alla stazione la mattina per prenotare la mia partenza. Vengo inserito in una lista d’attesa. Ritorno la sera per le 20. Si deve aspettare mi dicono. Così faccio. La stazione a poco a poco si riempie. L’arrivo del treno è previsto per le 22.45, per poi ripartire alle 23. Dopo un po’ mi dicono che non ci sono posti ma mi invitano comunque ad aspettare, perché qualche posto si libera sempre. Logica cubana. Dopo un altro po’ di attesa, annunciano che si sono liberati trenta posti, fra la felicità di tutti. A quel punto si passa alla seconda fase, l’acquisto del biglietto. Compro un biglietto di prima classe, con aria condizionata. Il caldo è pesante. Si paga in pesos cubanos (moneda nacional). Il viaggio costa 25 pesos cubanos, più altre 27 pesos di merenda. In totale poco più di 1 euro. Molto vantaggioso per gli stranieri.
Intanto arriva il treno. È quello che va a Guantanamo, l’ultima provincia d’oriente di Cuba. Salgo sul treno, con il mio proprietario di casa che era venuto a salutarmi e a vedere che tutto si svolgesse in regola, ma il mio posto o quello che pensavo fosse mio, è già occupato da una ragazza che l’aveva occupato a La Habana. Stessa sorte era capitata ad un cittadino che andava a Guantanamo, un tal Romero o Ramiro, che però non parlava, stava zitto in attesa degli eventi. Io invece parlo con i cuccettisti, che parlano con chi mi ha fatto il biglietto. Iniziano a discutere animatamente accusandosi a vicenda, gesticolando, come nelle più classiche telenovelas brasiliane ma ho pensato pure al film Guantanamera, per la confusione burocratica e per le voci delle persone coinvolte. Nell’animata discussione, il cuccettista incolpava chi aveva effettuato la vendita del biglietto, nella stazione di Santa Clara, che a sua volta accusava chi da La Habana lo aveva informato male telefonicamente sui numeri di prenotazione dei posti. Ognuno addossava la colpa all’altro ma intanto il treno doveva partire. Mi dicono di andare nel vagone 8, in seconda classe. Ma soprattutto si passa dall’aria condizionata al ventilatore. Dal paradiso all’inferno. Declassato, letteralmente.
Ma non poteva finire lì. Per quelli del treno era tutto finito, e tutto risolto, ma io mi sentivo di animare un po’ la lunga nottata che mi aspettava in viaggio. Così, un po’ inconsciamente chiamo la cuccettista, e chiedo la differenza di prezzo. A questo punto succede qualcosa che non avevo previsto. L’operatrice del vagone chiama la polizia, che peraltro già avevo visto passare e ripassare in borghese, fra i vagoni. Così scherzosamente, fra me e me pensavo ad un incidente diplomatico Cuba-Italia, ma temevo mi potesse scappare un “abajo Fidel”. Ad un tratto arriva un poliziotto in borghese che dopo essersi presentato, ascolta le mie rimostranze per aver chiaramente subito un torto.
Spiego la situazione.“Yo pagué por la primera clase y me enviaron a la segunda clase. Quiero ser respetado, tengo derecho, para mí y para todos los cubanos. En Europa eso no pasa” (Ho pagato per la prima classe e mi hanno mandato in seconda. Voglio essere rispettato, ho un diritto, e questo vale per me e per i cubani. In Europa questo non succede), dicevo al poliziotto, che era già visibilmente in imbarazzo fino a quasi la mortificazione, lui che era per la Rivoluzione, doveva sentirsi dire che a Cuba, sul treno, non era stato rispettato un diritto ad un turista, considerato quasi sacro ormai dal sistema cubano, così mi rispose con un dimesso “tiene razon señor, lo siento mucho” (Ha ragione signore, mi dispiace).
I passeggeri del treno ascoltano in silenzio e dalle loro facce si capiva che mai si sarebbero comportati così. Vedevo pure un certo fastidio per la mia protesta. Troppi rischi di finire in commissariato per una parola di troppo. Il cittadino di Guantanamo che aveva vissuto con me, anche lui, lo spostamento nel vagone di seconda classe, non parlava, ascoltava in silenzio e così ha fatto per tutto il tempo, era impaurito ho pensato e per questo preferì non parlare.
Non mi arrendo, affondo il dito nella piaga, quasi in delirio di onnipotenza, “queria solo ser respetado, no quiero dinero, me gustaria solo un disculpe, un lo siento mucho, nadie me dijo nada,” (volevo solo essere rispettato, non voglio soldi, mi piacerebbe un Mi scusi, mi dispiace, ma nessuno mi ha detto nulla).
A quel punto ero l’eroe del vagone (lo pensavo solo io ovviamente) ma mi ero pure stancato di questa storia, anche perché non volevo mettere nei guai le lavoratrici del treno, così chiudo la protesta con un “no quiero dinero, no pasa nada, espero la proxima vez en un servicio mejor” (Non voglio soldi, non fa niente, spero la prossima volta in un servizio migliore).
Si scusano tutti, dal poliziotto alle due signore cuccettiste del vagone, mi fanno i complimenti per il mio spagnolo, mi chiedono da dove vengo e dove sono diretto. E sembrano molto felici che la situazione si sia risolta così. Così finisce questa avventura nel nuovo tren chino de Cuba. Rimango in seconda classe, con il ventilatore e il finestrino, mangiando la merenda, in attesa dell’arrivo a Camaguey, che è avvenuto verso 4:30 della mattina. Ero soddisfatto di avere protestato contro il sistema cubano, cosa che i cubani non sono soliti fare, perché hanno paura.
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