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Horacio Verbitsky

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Horacio Verbitsky, giornalista di Pagina 12 e presidente di CELS (Centro de estudios legales y sociales), racconta che quando militava nei Montoneros, aveva partecipato a scontri armati, ma assicurò che non ci furono i morti.
“Ho partecipato a scontri armati, e per fortuna nessuno è stato ucciso, perché mi sentirei molto male”, dice Verbistky, in un’intervista con il direttore di Perfil.com, Jorge Fontevecchia, in cui ha ricordato il suo attivismo negli anni ’70, e di cui anche , il suo rapporto con il governo di Nestor Kirchner.
“Non ero importante nella struttura dei Montoneros. Non ero quello che sono oggi, ho avuto un basso livello”, dice.  “Mario Firmenich l’ho visto solo due volte nella mia vita. Non ho mai avuto un rapporto speciale con lui”, ha detto Verbitsky.
Inoltre, il giornalista ha ribadito le sue critiche alla gestione della pubblicità del  governo intrapresa dal governo di Nestor Kirchner. “Mi sembra molto ingiusto che il governo discrimina Perfil.com nella sua pubblicità, sembra molto ingiusto non concedere rapporti”.
E anche se ammette che da quando c’è Kirchner, lo ha incontrato “venti volte”, anche minimizzando l’influenza che può avere sul presidente. “Sola Morales o Bonelli hanno molta più influenza di me su Kirchner”, dice.
Verbitsky è stato anche critico con la estensione delle licenze della televisione, realizzate dall’attuale governo: “Penso che sia l’errore più grande di quattro anni di governo Krichner”.

 

 

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Morto Pio Laghi

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CITTÀ DEL VATICANO – È morto la notte scorsa all’ospedale romano di San Carlo di Nancy il cardinale Pio Laghi, diplomatico Vaticano di rango. Il porporato, 86 anni non ancora compiuti, è morto per una malattia ematologica che lo ha portato ad una insufficienza cardio-vascolare. Laghi, cardinale dal 1991, è stato delegato apostolico in Terra Santa all’epoca delle guerra dei tre giorni e amico personale di Golda Meir, dal ’76 all’ ’80 è stato nunzio in Argentina e poi fino al ’90 nella sede diplomatica vaticana a Washington, prima come delegato apostolico e negli ultimi sei anni, dopo l’allacciamento delle relazioni diplomatiche, come primo nunzio presso l’amministrazione statunitense. Dal ’90 al ’99 è stato prefetto delle congregazione per l’educazione cattolica.

La camera ardente è stata allestita nell’ospedale San Carlo di Nancy e da lunedì verrà trasferita in Vaticano. I funerali saranno celebrati martedì alle 11 in San Pietro dal decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano, e per la liturgia delle esequie giungerà anche il Papa. Tre giorni fa il cardinale Laghi aveva ricevuto la visita del segretario del Papa mons. Georg Gaenswein. Benchè malato il cardinale Laghi aveva voluto partecipare lo scorso dicembre all’udienza della Curia con il Papa per lo scambio degli auguri di Natale.

Pio Laghi, si trovò in argentina nel periodo più caldo di quel paese. Dal ’76 infatti il regime del generale Jorge Videla prese il potere insieme ai suoi amici fidati e rovesciò l’Argentina intera. Chi non era d’accordo veniva prelevato nella proprio casa, di solito di notte o mattina presto da una squadra detta Las Patotas, che erano poliziotti in borghese, che con atteggiamento di disprezzo li caricavano sulle loro Ford Falcon di colore verde senza targa.

Pio Laghi era presente nei campi di concentramento.

Secondo le Madri, nel corso della sua permanenza in Argentina con la carica di Nunzio apostolico, mons. Pio Laghi – così si legge nella denuncia – «collaborò attivamente con i membri sanguinari della dittatura militare e portò avanti personalmente una campagna volta ad occultare tanto verso l’interno quanto verso l’esterno del Paese l’orrore, la morte e la distruzione. Monsignor Pio Laghi lavorò attivamente smentendo le innumerevoli denunce dei familiari delle vittime del terrorismo di Stato e i rapporti di organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani».

Questa l’accusa principale e queste, secondo le Madri, le gravi responsabilità di mons. Laghi. Ma, scrivono nella loro denuncia, fu anche colpevole «di aver messo a tacere le denunce internazionali sulla sparizione di più di trenta sacerdoti e sulla morte di vescovi cattolici. Pio Laghi provvide, con i membri dell’episcopato argentino, alla nomina di cappellani militari, della polizia e delle carceri che garantissero il silenzio sulle esecuzioni, le torture e gli stupri cui assistevano. Questi cappellani avevano l’obbligo non solo di confortare spiritualmente gli autori dei genocidi e i torturatori, ma anche, tramite la confessione, di collaborare con l’esercito estorcendo informazioni ai detenuti».

María Ignacia Cercos de Delgado, moglie del giornalista Julián Delgado, scomparso nel giugno 1978, ha affermato: «Il Nunzio apostolico Pio Laghi era a conoscenza di tutto quello che accadeva nella Scuola di Meccanica della Marina, poteva verificare i nomi dei sequestrati lì trattenuti e il comandante in capo della Marina, Armando Lambruschini, lo consultò se dovesse lasciare in vita un gruppo di 40 detenuti – scomparsi che aveva ricevuto, quando aveva assunto l’incarico, dal precedente Comandante della Marina, Emilio Eduardo Massera».

E adesso che abbia corso la giustizia divina. AMEN!

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Enrico Calamai

Nel 1972 Enrico Calamai è un giovane diplomatico di trent’anni, che viene inviato in Argentina con la carica di vice console. Partì da Napoli per Buenos Aires con il transatlantico Giulio Cesare.
Nel 1974 viene inviato in Cile a Santiago, dove la situazione, dopo il golpe di Pinochet, è sempre più delicata. L’ambasciata italiana di Santiago in quel momento è piena di gente che chiede asilo politico all’Italia (asilados) ma lo stato italiano è cauto nel concedere l’asilo ai cileni anche per non compromettere i rapporti con il governo di Pinochet e con gli USA. A Santiago, sostituì, Roberto Toscano. e poi Tommaso de Vergottini che si rivelarono fondamentali nel salvare tanti italo-cileni. Calamai riesce ad aiutare molte persone, creando una rete di soccorso composta da persone di sua massima fiducia, perché in quel periodo c’erano tanti complici del sistema, una mossa sbagliata e poteva essere la fine per Calamai e di conseguenza un ritorno veloce in Italia. Calamai, in una situazione in cui lo stato argentino creava i desaparecidos in silenzio, nel buio della notte, doveva muoversi con molta disinvoltura. Era conosciuto dalla polizia argentina, a volte veniva seguito e controllato. Il suo passaporto diplomatico gli permetteva una certa immunità ma non poteva durare  molto. Un grande aiuto gli venne dall’inviato del “Corriere della Sera” Giangiacomo Foà, e da quello del  rappresentante della Cgil a Buenos Aires Filippo Di Benedetto. Insieme riescono a salvare tanti argentini ma tanti restano desaparecidos, poi viene richiamato a Roma nel 1977 mentre in Argentina un gruppo di madri e parenti dei desaparecidos inizia a camminare in Plaza de Mayo di fronte alla sede del governo in segno di protesta. Forse qualcosa si muove, chissà, ma intanto Calamai deve lasciare Buenos Aires, troppo scomodo per il governo italiano, avere in Argentina, un diplomatico che turbava i sonni di Videla.

Il suo ritorno a Roma segna il tradimento dello stato italiano verso quei figli argentini che furono costretti a lasciare il loro paese natio in cerca di fortuna in America Latina, e che tanti erano adesso scomparsi.
L’ambasciatore italiano a Buenos Aires era Enrico Carrara, amico dei militari, fu informato in anticipo del golpe ed aveva chiuso le porte dell’ambasciata, per non ripetere la situazione cilena, dove l’ambasciata italiana entrò in forte polemica con il regime di Pinochet.
Intanto il nunzio apostolico Pio Laghi giocava a tennis con il golpista Massera, che era il capo dell’Esma dove sparirono più di 5000 “sovversivi”.
Nel 2001, il ‘per nulla’ onorevole Giulio Andreotti, dichiarò che non era a conoscenza della tragedia argentina dei desaprecidos.

Se questa storia in Italia, solo negli ultimi anni e comunque dopo l’uscita del libro, è riuscita a diventare di dominio pubblico, in Argentina la situazione è ancora  più incredibile dove Calamai è un perfetto sconosciuto ma nel 2004, grazie a Nestor Kirchner, Enrico Calamai fu decorato  con la Cruz dell’Orden del Libertador San Martin, per essersi battuto in difesa dei diritti umani durante gli anni della dittatura.

La sua storia, Enrico Calamai, la raccontò nel suo libro, Niente asilo politico (Feltrinelli, 2001).

Nel 2016, è stata realizzata dalla RAI, una miniserie in due puntate liberamente tratta da Niente asilo politico, dal titolo Tango per la libertà.

La Storia Siamo Noi RAI – Puntata su Enrico Calamai

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